“Da Atget per Basilico. L’archeologia nel vedere”
19 aprile 2024, ore 21:00Per inaugurazione registrarsi all’evento da qui o via email a lab27.it@gmail.com
Lab27 inaugura il venerdì 19 aprile 2024, alle ore 21.00 la mostra “Da Atget per Basilico. L’archeologia nel vedere”. A Treviso, riunite per la prima volta le opere di due maestri della fotografia, Eugène Atget e Gabriele Basilico, per interrogarsi sulla rappresentazione dei luoghi, sul senso del collezionare lo spazio e archiviare le immagini come possedimenti interiori. Nelle fotografie raccolte in esposizione, resa possibile dalla collaborazione con Dionisio Gavagnin, collezionista e cultore della materia, riconosciamo dei processi intenzionali che hanno segnato la storia della fotografia, poiché ne sedimentano la pratica, ne valorizzano il ruolo nobilitandolo in una prospettiva “archeologica”. La mostra declina il rapporto tra i due autori rispetto al senso del documentare, e dei possibili significati del vedere, o meglio, del ri-vedere il mondo. E ciò ci aiuta a spostare l’attenzione dal chi fa la fotografia a chi ne beneficia. Ovvero invita a riflettere ulteriormente sulle destinazioni d’uso, sulla forza progettuale del mezzo, e infine sull’urgenza dell’educare lo sguardo.
© Vista sulla mostra, foto di Noemi Civiero
© Vista sulla mostra, foto di Noemi Civiero
© Vista sulla mostra, foto di Noemi Civiero
© Vista sulla mostra, foto di Noemi Civiero
© Vista sulla mostra, foto di Noemi Civiero
© Vista sulla mostra, foto di Noemi Civiero
© Vista sulla mostra, foto di Noemi Civiero
Eugène Atget il padre della fotografia moderna e documentaria, che ha intuito il potenziale della riproducibilità del visibile iniziando a catalogare vedute e scorci di Parigi sul finale dell’Ottocento. Spinto anche dalla precarietà il suo progetto diventa ossessivo e il suo intento macchinale, anticipando di un secolo le mappature computazionali e le cartografie visive dei Google Earth e Street View. Le sue immagini sono reperti, meglio evidenze archeologiche, memorie sbiadite di posti smarriti. Un destino procrastinato, sospeso nell’intenzione dell’autore. C’è di più, la netta testimonianza di un’inversione dello sguardo sul mondo, che si rivolta su sé stesso, inteso all’accumulazione, al mettere da parte, e quindi alla classificazione, copia, stampa. Un mondo facilmente eseguibile, con semplici comandi, imitabile o replicabile. E siamo presto ai giorni nostri, clicca e invia. La fotografia che vede tutto, che arriva ovunque, inizia così dall’impresa di Atget, in un gesto di onnipotenza teso ad abbracciare l’intera città in una scansione urbana. Scriverà in una lettera a Paul Léon, direttore del Beaux-Arts di Parigi, il 12 novembre 1920 “In più di vent’anni, ho raccolto attraverso il mio lavoro e la mia iniziativa individuale, in tutte le antiche strade della vecchia Parigi, cliché fotografici, formato 18/24, documenti artistici sulla bella architettura civile dal XVI al XIX secolo: I tanti alberghi, le case storiche o curiose, le belle facciate, le belle porte, le belle boiserie, i portoni, le fontane antiche, le scale in stile (in legno e forgiate); gli interni di tutte le chiese di Parigi (complessi e dettagli artistici: Notre-Dame, Saint-Gervais et Protais, Saint-Séverin, Saint-Julien-le-Pauvre, Saint-Etienne-du-Mont, Saint-Roch, Saint- Nicolas-du-Chardonnet, ecc.). Questa enorme raccolta, artistica e documentaria, è ormai terminata. Posso dire che possiedo tutta la vecchia Parigi.” [1] Ed è così che degli album concepiti per la vendita, per commerciare l’immagine della città e sostenere la vita di stenti del suo autore, cambieranno per sempre il modo di intendere la fotografia, o di farne esperienza. “Di qualunque natura essa sia, caratteristica prima dell’esperienza […] è l’iterazione. Non vi è alcuna esperienza in assenza di ripetizione, dunque. Ma alla ripetizione si lega stretta inevitabilmente la memoria”, scriverà Roberta Valtorta nel libro “Gabriele Basilico. L’esperienza dei luoghi”. [2]
© Eugène Atget, Ancien Hotel Dieu, 1899 ca (Collezione Dionisio Gavagnin)
Arriviamo dunque a Gabriele Basilico. L’architetto, a distanza di mezzo secolo, raccoglie come pochi altri il testimone del bizzarro fotografo seriale francese. La sua produzione fa perno ancora sulla città, sul palcoscenico urbano nel quale si modellano i rapporti umani, benché la visione si ampia. La città che deborda nella geografia. Milano è la sua Parigi, dove lavora a largo raggio, “preoccupato di vedere tutto” [2], dirà, realizzando quello che definirà Valtorta un “ritratto collettivo” [3]. Prolifico, metodico, anch’egli come il pioniere, determinato a inseguire il volto della trasformazione, ora di carattere metropolitano, in un orizzonte sans frontière, globale. In sintesi, scrive ancora Valtorta, “Dai monumenti passando per la città Basilico giunge al grande paesaggio aperto”. Basilico rispolvera il ruolo della committenza e della progettazione mediata dal vedere. E il “mandato sociale” [3], il ruolo pubblico del fotografo. Come nella serie “provincia antiqua”, che raccoglie alcune viste di siti archeologici in Francia, briciole di paesaggio che conservano il valore del passato e forse evocano il ricordo di una bellezza. Una bellezza che può nascere come scrive Aldo Rossi “dalle scorie di ciò che credevamo di conoscere” [2] Eppure v’è altro in Basilico. Un approccio votato alla comprensione, lettura lenta, della trama sottostante il romanzo edilizio osservato, che dilata la percezione fino a farne un corpo, e delle sue parti “personificazioni”, un organismo che respira e che oggi, forse, affanna sotto la pressione di bulimiche messe in scena e rapidi stravolgimenti. Fotografie che predicano una riconciliazione con il mondo allora, attraverso la contemplazione, un guardare sensibile. Fotografie come luoghi di incontro, “un luogo rinnovato nel quale progetti interiori e aspetto del mondo esterno potessero coincidere”.
© Gabriele Basilico, Provincia Antiqua, Arles, 2001. (Collezione Dionisio Gavagnin)
[1] Jean-Marie Baldner, ‘Qui est Eugène Atget’ (1857-1927), BNF.fr
[2] Gabriele Basilico, ‘Porti di mare’, Art& Edizioni, 1990
[3] Gabriele Basilico, ‘L’esperienza dei luoghi’, Art& Edizioni, 1995